L’ipertensione è un fattore di rischio primario per le malattie cardiovascolari tra cui ictus, infarto, insufficienza cardiaca e aneurisma. Quasi la metà degli adulti negli Stati Uniti ha la pressione alta senza esserne consapevole e, nel 95% dei casi, la causa resta ignota, definita proprio per questo “ipertensione essenziale”. Sebbene quest’ultima rimanga in qualche modo misteriosa, è stata collegata a determinati fattori di rischio, in particolare familiarità, sesso, età e razza. E’ ormai assodato che una dieta ricca di sodio aumenti la pressione sanguigna, mentre potassio, magnesio e fibre possano invece aiutare a mantenerla nei livelli consigliati. Nonostante ci sia una correlazione tra basse assunzioni di calcio e il tasso di individui che soffrono di pressione alta, non ci sono prove valide che la sua integrazione prevenga l’ipertensione. Al centro di numerosi studi ci sono anche gli oli di pesce, in particolare gli acidi grassi “omega-3”, che in grandi quantità possono aiutare a ridurre la pressione sanguigna, anche se il loro effettivo ruolo nella prevenzione non è del tutto chiaro. Proprio per l’importanza che la scelta attenta degli alimenti ha nell’insorgenza e nell’evoluzione dell’ipertensione, spesso i medici raccomandano diete denominate DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension) come primo approccio clinico alla patologia, consigliando l’aumento del consumo di frutta, verdura, cibi integrali, pesce, pollame e la riduzione di cibi ricchi di grassi saturi, colesterolo e grassi trans, carni rosse, bevande zuccherate. Alcuni aspetti della salute umana, inclusi tratti immunitari, metabolici e neuro-comportamentali, sono legati all’assunzione di sodio. Quest’ultimo è un nutriente essenziale e il catione primario nel fluido extracellulare, richiesto in numerosi processi fisiologici, come mantenimento del volume extracellulare e dell’osmolarità, dei potenziali di membrana e di diversi processi di trasporto trans-membrana. Nell’eziogenesi e nel decorso dell’ipertensione ha un ruolo chiave anche il microbiota intestinale, inteso come l’insieme dei microrganismi, principalmente batteri, autoctoni e di origine alimentare che popolano il tratto gastro-intestinale, fondamentali per molti aspetti della salute umana, inclusi tratti immunitari, metabolici e neuro-comportamentali. La disbiosi è causata principalmente dall’invecchiamento, da un cattivo stato di salute, dall’assunzione di farmaci, da un errato stile di vita e, ovviamente, da una scorretta alimentazione. Alimenti specifici (come i dolcificanti ad alta intensità tra cui il sucralosio, l’aspartame e la saccarina, gli additivi alimentari, gli emulsionanti e in generale gli alimenti trasformati) e schemi dietetici in disequilibrio possono influenzare sia l’abbondanza che la proporzione reciproca delle centinaia di tipologie di batteri intestinali. Diversi studi hanno dimostrato che il trapianto di microbiota fecale (FMT) da donatori ipertesi, sia di esseri umani che di ratti, aumenta la pressione arteriosa dell’ospite, confermando che la sola disbiosi intestinale svolga un ruolo addirittura causale dell’ipertensione. Tuttavia, è importante specificare che altri metabolici del microbiota intestinale come il butirrato, l’acetato e il propionato, noti per i loro effetti antinfiammatori e per le spiccate proprietà anti-ipertensive, sono centrali nel controllo della pressione sanguigna. L’analisi del DNA fecale a seguito dei FMT (trapianto di microbiota fecale) ha permesso di identificare i batteri dei generi Blautia e Otoribacter come principali responsabile dell’aumento della pressione sistolica basale: già precedenti lavori hanno dimostrato che un’elevata di Odoribacter nel microbiota intestinale in donne in gravidanza è associata a una riduzione della pressione arteriosa, poiché il butirrato prodotto da questa famiglia è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica, con effetti diretti sulle regioni del cervello che regolano la pressione sanguigna. Secondo una recente ipotesi, intaccare il microbioma intestinale potrebbe partecipare allo sviluppo di ipertensione arteriosa agendo anche direttamente sul metabolismo degli adreno-corticosteroidi endogeni, gli ormoni sintetizzati a livello della corteccia del surrene. È noto che l’aumento della concentrazione plasmatica di sodio riduca la secrezione di renina, dell’angiotensina ematica II e, quindi, il riassorbimento di sodio da parte dei reni. Questi risultati e tanti altri studi effettuati sono congruenti con le prove di studi precedenti che suggeriscono una forte correlazione tra ipertensione e disbiosi intestinale, stabilendo una relazione causa-effetto tra pressione sanguigna elevata e microbiota alterato. E’ quindi di fondamentale importanza preservarne l’equilibrio biologico con un corretto stile di vita e un’alimentazione equilibrata, e valutare l’uso di probiotici nel trattamento della disbiosi intestinale come potenziale approccio, quando possibile, alla riduzione dell’ipertensione neurogena e alla modulazione dell’attività simpatica centrale.
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